Credo di non essere l'unico ad aver sentito negli ultimi anni alcuni , sporadici episodi di violenza in famiglia , ma con una piccola differenza rispetto alle solite notizie che balzano alla cronaca . In questi casi infatti la vittima non è la moglie , ma ben si il marito . L'ultima che ricordo è la vicenda di una coppia che viveva nel veronese , lei è stata denunciata dal marito , dopo che per anni lo stesso veniva picchiato , minacciato , rinchiuso in cantina , e costretto a rimanere senza cibo per giorni mentre la moglie riceveva amanti in casa . Credo che tutti in quel momento abbiano pensato , che non fosse possibile per un maschio , sopportare tutto questo senza ribellarsi , ed il problema credo stia proprio qui , ovvero nella figura maschile , che per abitudine derivante dal passato , risulta la più forte per forza , quella che non può divenire vittima di una donna , e credo che questo sia dovuto principalmente al fatto che nel passato , a livello sociale era solo il maschio a dominare la scena , mentre oggi la donna ormai emancipata ha le stesse possibilità , le stesse abitudini e per tanto anche gli stessi difetti ! Ad ogni modo ho letto con interesse un articolo che parla proprio di questo problema , sempre più presente anche in Italia . Di seguito il testo integrale dell'articolo tratto da "La Repubblica" attualità, servizio di Giorgia Camandona :
Picchiati, insultati, minacciati coltello alla mano e in casa propria, dalla propria compagna. Succede anche a loro, gli uomini - e più spesso di quanto si possa pensare. Ma in Italia non esiste un Telefono Uomo, non è previsto che un uomo sia vittima di violenza domestica. È difficile parlarne, difficile essere creduti. Così riferiscono, dopo aver accumulato centinaia di confessioni insospettabili, le associazioni per padri separati. Perché, in mancanza d'altro, è a loro che gli uomini picchiati dalle mogli hanno cominciato a telefonare, trovando ascolto. Nel resto del primo mondo il fenomeno è noto e studiato (vedi box). Da noi, è tutto da esplorare. Un incubo, eppure la amo ancora Lorenzo (nome di fantasia) ha 43 anni, è di Roma, fa il tecnico informatico e sta tentando con tutte le sue forze di allontanarsi dalla moglie. "Lo dico subito", sospira forte, "per me è difficile parlare di queste cose, anche se so che sono protetto dall'anonimato. È che mi fa male raccontare quel che ho passato, rivivere certe serate da incubo, non solo perché ancora mi vergogno, anche se so che non dovrei, ma perché io mia moglie la amo". Due bambini, due stipendi, una casa di proprietà, un mese di vacanza ogni anno: in famiglia non mancava nulla, eppure lei non era soddisfatta - e la sua infelicità coniugale la manifestava con la violenza. "È iniziato tutto piano piano", prosegue Lorenzo, "non c'è una data precisa, con il passare del tempo le prevaricazioni sono diventate sempre più pesanti. Ha cominciato spaccando gli oggetti durante le nostre litigate, poi è passata agli strattoni, ai graffi, agli schiaffi. Siamo arrivati addirittura agli sputi. Mi ha minacciato con i coltelli, mi ha picchiato con tutto quel che le capitava in mano: padelle, bottiglie, il bastone della scopa. In quei momenti mi diceva anche cose orribili. Più di una volta sono andato al pronto soccorso per farmi medicare. Non mi hanno mai dato dei punti, ma mi hanno curato profonde lacerazioni, ferite che non potevo medicarmi in casa, ecco: sul collo, sul labbro. E una sera mi ha spaccato la testa con un forchettone per gli spaghetti". Tiziana Franchi, responsabile del telefono Pronto Papà (051/37.09.26), di situazioni del genere ne affronta almeno un paio al mese. "Ho visto padri con dita spezzate", racconta, "con graffi in faccia e sul collo, con lividi su quasi tutto il corpo. Ho assistito uomini ai quali sono stati spaccati degli ombrelli in testa e sulla schiena. Ho parlato persino con un signore al quale la moglie aveva gettato dell'acido negli occhi. È scoppiato a piangere al telefono. E che altro poteva fare? Da donna, mi dispiace dover dire queste cose, dover fare un quadro così brutale di parte del mondo femminile, ma certe madri sono molto più sfrontate e fanno scenate davanti ai figli che certi padri non si permetterebbero mai. Perché certe donne provocano, vanno al rialzo, finché non scatta la violenza. In questo modo, esasperando la lite, si sentono giustificate e picchiano a cuor leggero". Tanta vergogna In ospedale, scatta la bugia. "Sa", prosegue Franchi, "che cosa ha detto al medico quello al quale la moglie aveva spezzato le dita? Ha detto che se le era chiuse nella porta. Perché gli uomini si vergognano a dire che sono stati picchiati da una donna, dalla moglie per di più. Figuriamoci se sporgono denuncia! Alcuni, poi, ammettono che di fronte ai carabinieri si sentirebbero ancora più intimoriti a parlare, sminuiti nel loro essere uomini di fronte ad altri uomini". E Lorenzo, purtroppo, conferma: "Ai dottori ho sempre mentito, inventando che ero scivolato, per esempio, perché non volevo distruggere la mia famiglia con una denuncia così infamante nei confronti di una donna di cui ero, no, di cui sono follemente innamorato". La società, da sempre, induce il maschio a dare prova di forza, a reprimersi e a nascondere l'offesa. Stando a uno studio svizzero sulle violenze contro gli uomini (vedi box), nella nostra cultura essere vittima ed essere maschio sono condizioni che si "escludono" a vicenda. E gli uomini che riconoscono di essere oppressi vengono subito catalogati come persone con problemi psichici, come malati. Mentre va anche detto, come fa il medesimo studio, che a volte la violenza della donna arriva come reazione a qualcosa che lei stessa subisce. In Italia, invece, il problema è ancora ben lontano dall'essere seriamente quantificato e affrontato. L'anno prossimo, l'Istat riuscirà a fare una prima indagine statistica sulle violenze domestiche nei confronti delle donne. "Siamo uno dei primi istituti nazionali al mondo a farla", spiega Linda Laura Sabbadini, direttore centrale Istat, "e certo poter contemplare anche le vittime di sesso maschile sarebbe stato importante, ma purtroppo non ci sono i fondi". Aldo Dinacci, fondatore dell'Associazione bolognese del Pronto Papà, si accalora: "Sa quante ne ho nei miei archivi di storie così, da quando abbiamo aperto il nostro sportello quindici anni fa? Non lo so neanche io con precisione. Perché non si è mai fatto un lavoro di analisi, mai una statistica, in Italia non interessano a nessuno. Ma la cosa che mi fa arrabbiare davvero è che se una donna arriva in ospedale con un occhio nero e dice che è caduta dalle scale, infermieri e dottori si preoccupano, chiamano l'assistente sociale e l'indagine scatta praticamente in automatico. Se arriva un uomo con la testa spaccata e dice di essersi fatto male da solo, nessuno si fa delle domande, anche se magari è la terza volta in un mese che quell'uomo arriva lì per farsi medicare". Francesco (anche questo un nome di fantasia) ha cinquant'anni ed è un impiegato pubblico. La sua sorte è stata simile a quella di Lorenzo: urla, sceneggiate, soprammobili che finiscono in mille pezzi e poi il primo schiaffo, i pugni, le manifestazioni di rabbia che si fanno sempre più gravi e invasive, fino al culmine: "Una sera", ricorda, "litigammo, le dissi che sapevo che aveva un altro e che volevo affrontare l'argomento, per capire che fare della nostra storia. Ma lei si è infuriata. Una belva: mi è volata addosso e mi ha picchiato con tutta la sua forza. Mi ha dato così tanti pugni che non sono riuscito a contarli. Solo dopo mi sono accorto che ero anche pieno di graffi. La verità però è che poi non sono andato via perché avevo capito che tutto quel che stavo subendo era sbagliato, ma solo perché avevo paura. Così tanta paura che di notte non riuscivo a dormire. Sono scappato. E ancora oggi nessuno dei miei amici sa la verità". La fatica di capire Parlare per la prima volta, guardare in faccia la realtà e raccontare a qualcuno l'inferno che si sta passando, è il primo passo verso il lungo percorso che porta alla liberazione dalla violenza, ma è anche la cosa più difficile da fare. "Con noi comunicano", spiega ancora Tiziana Franchi, "perché ormai sappiamo come fare. Abbiamo delle bravissime psicologhe che sanno infondere fiducia, che li aiutano a confidarsi. E poi noi quando chiamano buttiamo sempre lì l'argomento delle donne che picchiano i mariti. A quel punto, chi ha subito la stessa cosa in genere lo dice. E parla soprattutto quando capisce che non lo prendiamo in giro, che crediamo a quel che ci confida". Quando finalmente arriva la consapevolezza che si ha bisogno di aiuto, il salottino dell'analista raccoglie la verità. La dottoressa Rosalba Trabalzini, responsabile scientifico del sito per famiglie Guidagenitori.it, è psicoterapeuta. "Ho avuto in cura diversi uomini che hanno subito e che subiscono violenza", racconta. "Vengono per una problematica diversa e poi, a fatica, dopo quattro o cinque mesi, si arriva al nocciolo. E allora, raccontano delle botte che prendono. Il problema è che alcune mogli, quando i mariti entrano in terapia, diventano ancora più aggressive, perché hanno paura che si vadano a scardinare i loro equilibri di coppia". Il più delle volte, al di là della personalità dell'uomo, spesso remissivo, a far scattare la violenza sono le faccende domestiche. "La donna che lavora", prosegue la terapeuta, "si aspetta che l'uomo l'aiuti e se non lo fa, lo pretende, anche con la forza. Fra i miei pazienti ho un autotrasportatore, che si alza al mattino prestissimo, torna a casa dal lavoro intorno all'una. Lei accompagna i bambini a scuola, va in ufficio e quando rientra alle due si aspetta che il pranzo sia pronto, altrimenti volano schiaffi". Secondo la dottoressa Trabalzini, il problema risale all'infanzia. "Questi uomini", osserva, "hanno in comune madri assenti. Per esempio, sto seguendo il caso di un generale, dunque un uomo che sul lavoro ha un certo ruolo, che comanda. In casa, però, subisce violenza. Ha avuto una madre molto carente e ha visto nella moglie l'autorità che gli è mancata da piccolo, la figura a cui doversi assoggettare e a cui obbedire a ogni costo". Giorgio Ceccarelli, fondatore dell'associazione Figli Negati, fra le fila dei suoi associati conta un buon numero di papà malmenati. "In dieci anni", dice, "ho seguito personalmente almeno un centinaio di casi e posso garantire che con il passare del tempo aumentano, perché le più colpite sono soprattutto le nuove generazioni. La famiglia italiana è cambiata moltissimo, le donne fanno le stesse cose che fanno gli uomini: il lavoro, la carriera. E in più sentono il peso dei figli e della casa. Aumenta lo stress, aumentano le crisi". La dottoressa Trabalzini conferma: "La donna che lavora, che è socialmente inserita, è più forte e ha un potere contrattuale maggiore all'interno della coppia e dunque si permette anche comportamenti inaccettabili". Ceccarelli rincara la dose: "Le assicuro che esistono uomini che subiscono violenze sessuali, che sono costretti, con il ricatto o fisicamente, ad avere rapporti senza averne voglia. Non sapendo dove altro andare, si rivolgono a noi. E quelli che parlano sono una percentuale minima". La soluzione del problema è complessa, ma un primo passo si potrebbe fare creando una struttura assistenziale mirata. Ceccarelli, che lavora al Comune di Roma, ha fatto la proposta al sindaco Valter Veltroni e al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo. Spiega: "Vorrei fare la Casa internazionale del padre, per uomini picchiati, violentati e magari poveri. Ho detto al sindaco che io metterei 50 mila euro, i soldi che la mia ex moglie e mia suocera mi hanno dovuto dare per danni morali. Oltretutto, lavorando io al Comune, le mie prestazioni sarebbero a costo zero". Pamela Pantano, assessore alle Politiche per l'infanzia e la famiglia, conferma: "Un contatto c'è stato, la proposta è stata esaminata e presto ci sarà un incontro con Ceccarelli. In seguito, valuteremo la situazione e decideremo il da farsi".